Amnistia, carceri, riforma ordinamento penitenziario e misure alternative

Lo scorso sabato il premier Paolo Gentiloni ha incontrato a palazzo Chigi prima il ministro dell’Economia Padoan e poi il ministro per lo Sviluppo Carlo Calenda. Secondo quanto si è appreso da fonti di governo, la prossima riunione del Consiglio dei ministri è al momento prevista per mercoledì 7 marzo, all’indomani dei risultati. E’ possibile siano discussi e approvati, fra l’altro, gli ultimi decreti attuativi della delega per l’attuazione della riforma dell’ordinamento penitenziaria.

Il governo Gentiloni resterà in carica almeno ancora un altro mese dopo le elezioni, questa volta formalmente dimissionario e in carica solo per gli affari correnti, ed invece le nuove Camere si insedieranno venerdì 23 marzo. Le consultazioni al Colle non potranno inziare dunque che dopo le festività pasquali di 1 e 2 Aprile, sempre che nel frattempo siano stati eletti i nuovi presidenti delle Camere e insediati i nuovi gruppi parlamentari che dovranno essere consultati al Colle per far nascere il nuovo Governo.

La mancata riforma dell’ordinamento penitenziario nel commento di Luca Bisori e Gabriele Terranova.

Intanto, Luca Bisori, Presidente della Camera penale di Firenze, e Gabriele Terranova, componente della commissione ministeriale di riforma dell’Osservatorio Carcere Ucpi, in un articolo pubblicato pochi giorni fa sul Corriere Fiorentino hanno commentato la mancata attuazione della riforma dell’ordinamento penitenziario. Dopo anni di studi si era giunti, in attuazione della delega per la riforma dell’Ordinamento Penitenziario, alla predisposizione di un testo ampiamente condiviso, frutto del lavoro di una commissione ministeriale, fatta di accademici, magistrati e avvocati. Ad un passo dal traguardo, il Consiglio dei ministri ha rinviato l’approvazione dei decreti attuativi al dopo-elezioni, di fatto sine die.

Bisori e Terranova spiegano il motivo per cui si tratta di una riforma indispensabile, che aumenterebbe non solo il grado di civiltà delle carceri, ma soprattutto la sicurezza dei cittadini. Secondo un luogo comune, per prevenire i delitti servirebbero pene sempre più elevate, “in una logica medievale secondo cui la pena dovrebbe servire solo a porre il reo in condizioni di non nuocere più”. Più lunga la pena, maggiore la sicurezza: così che, di fatto, la più efficace misura per garantire i cittadini consisterebbe nell’eliminazione stessa del reo o nella sua separazione dal corpo sociale per il resto dei giorni. Pazienza se tutto ciò è platealmente contrario alla funzione della pena come disegnata dalla Costituzione: la pena deve tendere alla rieducazione, non può essere strumento di segregazione sociale.

Obiettivi della riforma dell’ordinamento penitenziario e misure alternative alla detenzione.

Bisori e Terranova spiegano che in realtà la riforma dell’ordinamento penitenziario non mira a svuotare le carceri, e non innalza il limite di pena per l’accesso alle misure alternative, già innalzato con leggi precedenti. Da un altro punto di vista, la legge elimina alcuni automatismi che impediscono l’accesso alle misure alternative a talune categorie di condannati, ma non tocca i divieti pressoché assoluti di concessione per reati di mafia o terrorismo.

“La riforma non presenta alcun carattere di clemenza o buonismo: è anzitutto un intervento di ammodernamento di un sistema irrazionale, e lo fa sulla base di un’evidenza documentata da studi condotti a ogni latitudine: che il carcere, specie se degradante e sovraffollato, non produce maggiore sicurezza. A chi invoca l’esigenza di inflessibili detenzioni carcerarie, occorrerebbe ricordare che è dimostrato (da statistiche ufficiali) che chi sconta una pena esclusivamente carceraria ha probabilità 3 volte superiori di commettere un nuovo reato rispetto a chi espia la pena in regime alternativo. Puntare su misure alternative non è dunque solo più giusto: è anche (cinicamente, se si vuole) infinitamente più efficace per rendere più sicura la società.”, concludono Bisori e Terranova.

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