I lavoratori dei porti italiani si fermeranno oggi, 23 maggio 2019, per l’intera giornata, con presìdi nei principali scali italiani. Sit-in sono in programma ad Ancona, alle ore 9, davanti alla sede dell’Autorità portuale, presso il Molo da Chio; a Chioggia (Venezia), a partire dalle ore 6, davanti all’entrata del porto (in via dal Rio); a Livorno, in Varco Valessini, Varco Galvani, rotatoria ingresso darsena Toscana, ingresso Seatrag/Sdt, Stazione Marittima e Teatro Goldoni, pressoché per l’intera giornata; a Marghera (Venezia), a partire dalle ore 6, davanti all’entrata del porto (in via del Commercio, darsena Fincantieri); a Ravenna, alle ore 10, davanti alla sede della Prefettura (in piazza del Popolo).
Filt Cgil, Fit Cisl e Uiltrasporti hanno illustrato le ragioni alla base dell’azione di protesta:“Il ccnl unico di settore, in quanto valore insostituibile di regolazione e di tutela, è uno dei temi centrali alla base della vertenza a salvaguardia del lavoro portuale e delle proprie specificità. Oggi, nei mutamenti in atto nei porti italiani, con la partecipazione di compagnie di navigazione e fondi finanziari negli assetti delle imprese terminaliste, la strategia è rivolta a ricavare tagli di costo nelle filiere di trasporto a spese dei lavoratori portuali e delle condizioni di lavoro e di sicurezza”.
Occorre un confronto con i sindacati
Una situazione “ignorata dal governo, che elude ogni richiesta di confronto con le organizzazioni sindacali”. Ma anche trascurata “da molti presidenti delle Autorità di sistema portuale, che non svolgono il previsto ruolo di garanti nel funzionamento dei porti, che sono infrastrutture pubbliche e perni del sistema Paese”.
“La fase di stallo del negoziato per il rinnovo del ccnl dei porti non rappresenta soltanto la distanza tra le diverse sensibilità tra le parti, ma l’avvio del tentativo di destrutturare pezzo dopo pezzo l’attuale sistema regolatorio vigente nei porti italiani, a fronte di una piattaforma ‘essenziale’ calibrata sulle prospettive del lavoro portuale”, insistono Filt Cgil, Fit Cisl e Uiltrasporti.
I sindacati puntano l’indice anche sulla “totale assenza di una regia da parte del ministero dei Trasporti”, che sta generando “una portualità divisa e senza una strategia comune, alla mercé delle compagnie armatoriali, che hanno conquistato gran parte dei terminal italiani esponendo i porti e i lavoratori a grandi incertezze, considerando anche le nostre forti preoccupazioni per l’automazione delle operazioni portuali e il progressivo e inesorabile invecchiamento dei lavoratori, nonché la loro inevitabile usura”.
I diritti dei lavoratori
È per queste ragioni che i sindacati chiedono al ministero, di concerto con le Autorità di sistema portuale e assieme alle parti sociali, di “dare concreta attuazione ai piani dell’organico porto”. Ed è per questo che Filt, Fit e Uiltrasporti chiedono anche “di individuare uno strumento in grado di accompagnare alla pensione tutti i lavoratori e di regolamentare gli effetti, sugli organici, dell’automazione del ciclo produttivo e, conseguentemente, l’accesso alle risorse (di cui al comma 15bis della normativa vigente)”.
“Comprimere i diritti dei lavoratori, forse, può produrre benefici, ma soltanto per i cosiddetti ‘nuovi terminalisti’ dell’imprenditoria armatoriale e dei fondi finanziari”, continuano i sindacati: “Riteniamo assordante, quindi complice, il silenzio del governo – riluttante a ogni richiesta di nostro incontro – e del ministero competente, per niente vigile sulle innumerevoli irregolarità registrate nella gestione e nell’applicazione della norma di molte Autorità di sistema portuale”.
Filt, Fit e Uiltrasporti, in conclusione, si oppongono “a qualsiasi ipotesi di snaturare la funzionalità dei porti e il sistema di regolazione a esso riconducibile. Non intraprendere questa battaglia significherebbe abbandonare la ‘mission’ dell’interesse generale della portualità”.I sindacati, dunque, non accettano “che venga scaricato sui lavoratori il peso della ‘insipienza’ politica e istituzionale né la volontà di privatizzare i profitti e accollare i debiti sulla collettività”. E pretendono “un contratto che sia in grado di ridare potere d’acquisto al lavoratori e capace di rispondere alle esigenze della portualità”.