Papa Francesco: Udienza Generale. Si è tenuta anche oggi 3 gennaio 2017, come ogni mercoledì, l’Udienza Generale del Santo Padre. Ricordiamo che mercoledì scorso Papa Francesco ha approfondito il significato del Natale. “Ai nostri tempi, specialmente in Europa, assistiamo a una specie di “snaturamento” del Natale: in nome di un falso rispetto che non è cristiano, che spesso nasconde la volontà di emarginare la fede, si elimina dalla festa ogni riferimento alla nascita di Gesù. Ma in realtà questo avvenimento è l’unico vero Natale! Senza Gesù non c’è Natale; c’è un’altra festa, ma non il Natale. E se al centro c’è Lui, allora anche tutto il contorno, cioè le luci, i suoni, le varie tradizioni locali, compresi i cibi caratteristici, tutto concorre a creare l’atmosfera della festa, ma con Gesù al centro. Se togliamo Lui, la luce si spegne e tutto diventa finto, apparente”, ha affermato.
Il messaggio di Papa Francesco sul senso del Natale.
Il Pontefice nel corso dell’ultima Udienza Generale ha approfondito il significato del Natale, spiegando come va interpretato nella vita di ognuno:”Cari fratelli e sorelle, in questi giorni apriamo la mente e il cuore ad accogliere questa grazia. Gesù è il dono di Dio per noi e, se lo accogliamo, anche noi possiamo diventarlo per gli altri – essere dono di Dio per gli altri – prima di tutto per coloro che non hanno mai sperimentato attenzione e tenerezza. Ma quanta gente nella propria vita mai ha sperimentato una carezza, un’attenzione di amore, un gesto di tenerezza… Il Natale di spinge a farlo. Così Gesù viene a nascere ancora nella vita di ciascuno di noi e, attraverso di noi, continua ad essere dono di salvezza per i piccoli e gli esclusi“, ha concluso.
Udienza di oggi 3 gennaio 2018: l’atto penitenziale.
Nell’Udienza generale di oggi, Papa Francesco ha ripreso la catechesi sulla celebrazione eucaristica, soffermandosi sull’atto penitenziale. “Nella sua sobrietà, esso favorisce l’atteggiamento con cui disporsi a celebrare degnamente i santi misteri, ossia riconoscendo davanti a Dio e ai fratelli i nostri peccati, riconoscendo che siamo peccatori. L’invito del sacerdote infatti è rivolto a tutta la comunità in preghiera, perché tutti siamo peccatori. Che cosa può donare il Signore a chi ha già il cuore pieno di sé, del proprio successo? Nulla, perché il presuntuoso è incapace di ricevere perdono, sazio com’è della sua presunta giustizia. Pensiamo alla parabola del fariseo e del pubblicano, dove soltanto il secondo – il pubblicano – torna a casa giustificato, cioè perdonato. Chi è consapevole delle proprie miserie e abbassa gli occhi con umiltà, sente posarsi su di sé lo sguardo misericordioso di Dio. Sappiamo per esperienza che solo chi sa riconoscere gli sbagli e chiedere scusa riceve la comprensione e il perdono degli altri.
Ascoltare in silenzio la voce della coscienza permette di riconoscere che i nostri pensieri sono distanti dai pensieri divini, che le nostre parole e le nostre azioni sono spesso mondane, guidate cioè da scelte contrarie al Vangelo. Perciò, all’inizio della Messa, compiamo comunitariamente l’atto penitenziale mediante una formula di confessione generale, pronunciata alla prima persona singolare. Ciascuno confessa a Dio e ai fratelli “di avere molto peccato in pensieri, parole, opere e omissioni”. Sì, anche in omissioni, ossia di aver tralasciato di fare il bene che avrei potuto fare. Spesso ci sentiamo bravi perché – diciamo – “non ho fatto male a nessuno”. In realtà, non basta non fare del male al prossimo, occorre scegliere di fare il bene cogliendo le occasioni per dare buona testimonianza che siamo discepoli di Gesù. E’ bene sottolineare che confessiamo sia a Dio che ai fratelli di essere peccatori: questo ci aiuta a comprendere la dimensione del peccato che, mentre ci separa da Dio, ci divide anche dai nostri fratelli, e viceversa. Il peccato taglia: taglia il rapporto con Dio e taglia il rapporto con i fratelli, il rapporto nella famiglia, nella società, nella comunità: Il peccato taglia sempre, separa, divide“.
Il Pontefice ha proseguito:”Le parole che diciamo con la bocca sono accompagnate dal gesto di battersi il petto, riconoscendo che ho peccato proprio per colpa mia, e non di altri. Capita spesso infatti che, per paura o vergogna, puntiamo il dito per accusare altri. Costa ammettere di essere colpevoli, ma ci fa bene confessarlo con sincerità. Confessare i propri peccati. Io ricordo un aneddoto, che raccontava un vecchio missionario, di una donna che è andata a confessarsi e incominciò a dire gli sbagli del marito; poi è passata a raccontare gli sbagli della suocera e poi i peccati dei vicini. A un certo punto, il confessore le ha detto: “Ma, signora, mi dica: ha finito? – Benissimo: lei ha finito con i peccati degli altri. Adesso incominci a dire i suoi”. Dire i propri peccati!
Dopo la confessione del peccato, supplichiamo la Beata Vergine Maria, gli Angeli e i Santi di pregare il Signore per noi. Anche in questo è preziosa la comunione dei Santi: cioè, l’intercessione di questi «amici e modelli di vita» (Prefazio del 1° novembre) ci sostiene nel cammino verso la piena comunione con Dio, quando il peccato sarà definitivamente annientato.
Oltre al “Confesso”, si può fare l’atto penitenziale con altre formule, ad esempio: «Pietà di noi, Signore / Contro di te abbiamo peccato. / Mostraci, Signore, la tua misericordia. / E donaci la tua salvezza» . Specialmente la domenica si può compiere la benedizione e l’aspersione dell’acqua in memoria del Battesimo, che cancella tutti i peccati. E’ anche possibile, come parte dell’atto penitenziale, cantare il Kyrie eléison: con antica espressione greca, acclamiamo il Signore – Kyrios – e imploriamo la sua misericordia.
La Sacra Scrittura ci offre luminosi esempi di figure “penitenti” che, rientrando in sé stessi dopo aver commesso il peccato, trovano il coraggio di togliere la maschera e aprirsi alla grazia che rinnova il cuore. Pensiamo al re Davide e alle parole a lui attribuite nel Salmo: «Pietà di me, o Dio, nel tuo amore; nella tua grande misericordia cancella la mia iniquità» . Pensiamo al figlio prodigo che ritorna dal padre; o all’invocazione del pubblicano: «O Dio, abbi pietà di me, peccatore». Pensiamo anche a San Pietro, a Zaccheo, alla donna samaritana. Misurarsi con la fragilità dell’argilla di cui siamo impastati è un’esperienza che ci fortifica: mentre ci fa fare i conti con la nostra debolezza, ci apre il cuore a invocare la misericordia divina che trasforma e converte. E questo è quello che facciamo nell’atto penitenziale all’inizio della Messa”.