Aveva creato non poche perplessità la misura per le pensioni anticipate, battezzata “Opzione donna”, contenuta nella bozza del decreto legge che dovrebbe essere approvato la prossima settimana, soprattutto perché non veniva indicato il termine entro il quale bisognava avere maturato i requisiti contributivi per poter accedere allo strumento pensionistico.
Il testo del decreto ha subito delle modifiche che hanno riguardato anche la misura per le pensioni anticipate delle donne, arrivando ad una nuova versione della proroga di Opzione donna, non ancora definitiva. “Fonti accreditate ci informano che non è ancora stata prodotta la relazione tecnica che sancisce le coperture economiche necessarie affinché RgS possa bollinare ed inviare al CdM che, confermandola, darà definitivamente il via all’iter approvativo”, ha precisato Orietta Armiliato, amministratrice del Comitato Opzione Donna Social.
La nuova versione di Opzione donna
Nella bozza del decreto legge che introdurrà Quota 100 ed il Reddito di cittadinanza, si legge: “Il diritto al trattamento pensionistico anticipato è riconosciuto nei confronti delle lavoratrici che entro il 31 dicembre 2018 abbiano maturato un’anzianità contributiva pari o superiore a 35 anni ed un’età anagrafica pari o superiore a 58 anni per le lavoratrici dipendenti e a 59 anni per le lavoratrici autonome secondo le regole di calcolo del sistema contributivo previste dal decreto legislativo del 30 aprile 1997, n. 180. Il predetto requisito di età anagrafica non è adeguato, agli incrementi alla speranza di vita, di cui all’articolo 12 del decreto legge 31 maggio 2010, n.78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio, n.122, e successive modificazioni”.
Le riforme del sistema previdenziale discriminano le donne
“Ancora una volta le riforme del sistema pensionistico penalizzano in maniera grave e indiscriminata le donne”, ha dichiarato Laura Pulcini, Responsabile del Coordinamento Pari Opportunità e Politiche di Genere della Uil. “La mancata valorizzazione del lavoro di maternità e cura, le dimissioni dopo il parto, rendono sostanzialmente impossibile il raggiungimento di Quota 100 per le donne; esse, infatti, particolarmente nel settore privato, versano mediamente 25,5 anni di contributi contro i 38,8 dei colleghi maschi.
Le donne raggiungerebbero, quindi, la mitologica quota 100 a 74,5 anni, per avere, inoltre, un trattamento previdenziale più contenuto a causa del gender pay gap che caratterizza tutta la loro vita lavorativa”, ha precisato l’esponente sindacale. Pulcini, sempre a proposito di Quota 100, ha aggiunto: “Nel settore pubblico, caratterizzato da una forte presenza di lavoro femminile, è gravissimo l´impatto del differimento del pagamento del TFS che può arrivare anche a sette anni dal pensionamento. Le donne alla viglia della pensione molto spesso sono sole perché vedove o single.
E’ inaccettabile che debbano attendere tempi infiniti per avere dei denari che, giova sempre ricordarlo, sono di loro proprietà e non del datore di lavoro, sia esso pubblico o privato”. “Continuano a non esserci misure che valorizzino il lavoro di cura e la maternità. Il governo del cambiamento sembra non andare verso nuovi «binari» per quel che riguarda le tematiche di genere”, ha concluso Pulcini.