“Dopo una lunga stagione di avanzamento, oggi in Italia ci troviamo in una fase di arretramento della condizione delle donne, dobbiamo averne coscienza. È importante che la valutazione degli effetti delle norme venga analizzato non solo dal punto di vista delle singole, ma in modo circolare. Essere donna non rappresenta una debolezza, ma una differenza”,ha affermato Susanna Camusso, responsabile delle Pari opportunità della Cgil nazionale, intervenendo al seminario “L’uguaglianza non ha genere” organizzato a Roma, presso la sede del Cnel.
“La donna in Italia non viene vista come una persona a pari dignità degli altri. Sei una vittima e tale devi rimanere, portando addosso un marchio”, continua Camusso: “Abbiamo bisogno, quindi, di parlare di aspetti necessari in due variabili: l’occupazione e i gap che da esso si determinano. Non si crea occupazione senza investimenti”. Sarebbe bene, invece, uscire dall’egoismo maschile e attuare un uso delle risorse più equilibrato. C’è una diseguaglianza non solo Nord-Sud, ma anche uomini e donne”, ha puntualizzato.
Contrattazione e gap di genere
Riguardo alla contrattazione di genere, Susanna Camusso ha evidenziato che “spesso si discute solo di problemi di conciliazione. Se ci riduciamo a questo, stiamo dentro uno schema secondo cui la maternità rappresenta problemi per le imprese in quanto costi, cosi come la salute dei figli. Dobbiamo spostare, invece, i costi sugli uomini, renderli compartecipi della genitorialità. C’è uno stereotipo diffuso delle lavoratrici che è in contrasto con la responsabilità e il far carriera. Gran parte del gap si basa sul fatto che premia la disponibilità intesa come presenza e modalità del lavoro, non la qualità di esso, una caratteristica che così esclude le donne. Se affermiamo un’uguale condizione, neghiamo però che esistono differenze, ciò vale sia per l’organizzazione del lavoro come per la riorganizzazione sociale. Attraverso la necessità di uguaglianza stiamo già precostruendo una nuova versione degli stereotipi”.
L’uguaglianza non è stata ancora raggiunta
“É giunto il momento di cambiare alla radice l’approccio sociale e culturale che è alla base delle discriminazioni di genere, a partire dalla società, e, dunque, anche nella stessa organizzazione del lavoro che deve divenire maggiormente inclusiva a tutti i livelli, favorendo un sistema di valutazione professionale e di formazione che premi equamente le persone: solo così si potrà davvero far ripartire il nostro Paese, perché un sistema industriale che si vuole qualificare come moderno e innovativo non può rimanere ancorato a vecchi stereotipi non solo ingiusti ma che ne inficiano lo sviluppo produttivo”, hanno affermato le segretarie confederali Uil Tiziana Bocchi e Ivana Veronese nel corso del dibattito al Cnel.
“Sebbene la società sia profondamente cambiata in questi anni siamo ancora lontani dal considerare il lavoro delle donne come un investimento. Disoccupazione, difficoltà di accesso al lavoro e alla formazione, così come alle forme di salario accessorio, minori possibilità di carriera, riduzione involontaria di orario, discontinuità lavorativa e tipologia di attività svolta continuano a marcare differenze di genere in una organizzazione del lavoro che si muove, ancora oggi, entro i confini di un modello coniugato al maschile. La contrattazione collettiva rappresenta, e lo sarà anche in futuro, uno strumento fondamentale per supportare le lavoratrici attraverso un’organizzazione del lavoro maggiormente flessibile e per il rafforzamento di misure per la condivisione delle responsabilità genitoriali e di cura”, hanno concluso Bocchi e Veronese.