Spesa previdenziale ed età pensionabile: il quinto rapporto sul Bilancio del sistema previdenziale italiano. Le pensioni, la spesa previdenziale e l’età pensionabile sono stati i temi principali del Quinto Rapporto su “Il Bilancio del Sistema Previdenziale italiano. Andamenti finanziari e demografici delle pensioni e dell’assistenza per l’anno 2016”, curato dal Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali. Nel documento sono stati illustrati, in particolare, gli andamenti della spesa pensionistica, delle entrate contributive e dei saldi delle differenti Gestioni pubbliche e privatizzate che compongono il sistema pensionistico obbligatorio del nostro Paese.
Dall’analisi dei dati raccolti sulle pensioni nel biennio 2017- 2018, la spesa pensionistica al netto GIAS (sulla base dei preventivi di bilancio “assestati” e del DEF 2017 aggiornato) si dovrebbe attestare a circa 220 miliardi nel 2017 e 222 miliardi nel 2018. La GIAS resta sui valori del 2016 mentre le entrate contributive sono previste in 198,4 miliardi per il 2017 e 200,7 miliardi per il 2018. Il saldo previdenziale al netto GIAS sarà dunque pari a 21,6 miliardi per il 2017 e poco meno per l’anno successivo. Secondo i dati del MEF (DEF 2017 aggiornato), nel medio periodo il rapporto spesa/Pil si ridurrà almeno fino al 2020. Procedendo con politiche di sviluppo nei prossimi anni, quindi con una prospettiva di crescita del Pil maggiore della crescita media sperimentata per i sette lunghi anni di crisi cominciati dal 2008, il rapporto dovrebbe decrescere ancora leggermente, o almeno rimanere stabile.
Pensioni ed età pensionabile nel Quinto rapporto di Itinerari previdenziali.
In tema di pensioni ed età pensionabile, nel Quinto Rapporto di Itinerali previdenziali si osserva che con “l’elevazione a 67 anni dell’età di pensione dal 2019 (in anticipo di 2 anni sul 2021 come previsto dalla Monti-Fornero) e con una aspettativa di vita a 65 anni di 20 anni e 7 mesi (19,1 gli uomini e 22,3 per le donne), per i maschi il tempo di pensione si riduce a 17 anni e 1 mese con ulteriori 3 anni e 2 mesi di eventuale reversibilità, per un totale di 20 anni e 4 mesi“. “Sono quindi preferibili politiche che tendano a premiare il “lavoro”, la “fedeltà contributiva” e le lunghe carriere per cui l’indicizzazione dell’età di pensionamento alla aspettativa di vita resta un requisito irrinunciabile per gli equilibri del sistema (soprattutto per le pensioni di vecchiaia con carriere brevi e per quelle assistenziali), ma occorre altresì reintrodurre elementi di flessibilità in uscita ripristinando le caratteristiche della l.335/1995”, viene precisato nel dossier di Itinerari Previdenziali. Si dovrebbe, quindi, predisporre una riforma delle pensioni in cui si sganci, in prima battuta, “l’anzianità contributiva dall’aspettativa di vita (una caratteristica solo italiana introdotta con la riforma Fornero) prevedendo un massimo di 41 anni e mezzo di contribuzione con un massimo di 3 anni di contributi figurativi e un’età minima di 63 anni d’età“.
Nel documento viene sottolineato:”È scarsamente equo (e, si potrebbe dibattere, forse anche poco costituzionale) immaginare che un lavoratore possa accedere alla pensione con solo 20 anni di contributi e 67 anni di età (magari facendosi integrare la prestazione per via della modesta pensione a calcolo) e che un altro con oltre il doppio dei contributi e senza rischi di integrazioni a carico dell’erario, debba lavorare per oltre 43 anni (nel 2019)”. Per quanto riguarda le pensioni e l’età pensionabile, viene affermato nel rapporto:”Si potrebbe prevedere un range di uscita tra i 63 e i 70 anni con almeno 37 anni di anzianità contributiva di cui massimo 3 figurativi”. Qui puoi trovare le ultime news e novità su riforma pensioni.