Riforma pensioni, Quota 100 rosa: l’analisi di Orietta Armiliato del CODS

Orietta Armiliato, amministratrice del Comitato Opzione Donna Social ha lanciato la proposta di  introdurre uno strumento pensionistico chiamato “Quota 100 rosa”, che consentirebbe alle donne di andare in pensione con 62 anni d’età e 36 di contributi, in virtù del riconoscimento del cosiddetto “lavoro di cura”.  Tale dispositivo non sostituirebbe Opzione donna, ma sarebbe un’alternativa a disposizione delle donne per andare in pensione anticipatamente. Il segretario confederale della Uil, Domenico Proietti, ha dichiarato che Quota 100 rosa potrebbe essere una prima risposta sul tema delle donne “attraverso la valorizzazione del lavoro di cura e la maternità”.

Armiliato ha rimarcato “l’importanza che una proposta del genere possa essere rappresentata nelle sedi deputate giacché sarà la prima volta che, tangibilmente, si riconoscerebbe la discontinuità delle carriere per cui le donne sono indifese vittime accumulando svantaggi di ogni tipo e, nello stesso tempo, proprio per via di una legge sperimentale, si avrebbe modo di segnare concretamente il cambio di passo verso la valorizzazione del lavoro ci cura per TUTTE le lavoratrici, poiché con la sollecitazione che nasce con #QuotaCentoRosa verrebbe contemplata la possibilità di abbassare il requisito contributivo di due anni rispetto alla legge vigente, proprio in virtù di quel riconoscimento”. Abbiamo chiesto ad Orietta Armiliato qualche chiarimento sullo strumento pensionistico ideato e promosso dal CODS.

Perchè il requisito anagrafico per l’accesso a Quota 100 rosa è l’aver compiuto 62 anni?

“Ho più volte spiegato nel Comitato che amministro, il CODS, supportata da studi ed analisi che l’aspettativa di vita (dati istat Maggio 2019) Italia è attestata su un’eta media di 84,9 anni per le donne e 80,6 per gli uomini; chiaro dunque che 62/63 anni siano un’età ragionevole. Ovviamente bisognerebbe tenere in debito conto le varie tipologie di lavoro svolte durante la propria carriera, i lavori gravosi ed usuranti sono una realtà non solo maschile, e dunque dovrebbero avere un percorso verso la quiescenza diverso, ciò detto, ed al di là delle situazioni particolari, comprendo che la misura dell’Opzione Donna abbia falsato i termini (ricordiamo però che è una misura targata 2004) ed abbia alimentato aspettative rispetto ai requisiti necessari ad accedere a qualche tipologia pensionistica.

Perchè legare una misura pensionistica ai lavori di cura?

“La valorizzazione del lavoro di di cura è un bisogno oggettivo, anche qui le ultime statistiche ci segnalano un impegno giornaliero, per svolgere i lavori domestici da parte delle donne pari ad oltre 5 ore giornaliere contro 1 ora e 50 che impiegano per le medesime attività gli uomini: non vi è dubbio che si configura un doppio lavoro che aggrava lo stato di stanchezza anche mentale delle donne. Dopodiché, la mia proposta di Quota100Rosa va proprio nella direzione di apertura di una porta che si apra tangibilmente a questo riconoscimento e che sia esteso quanto prima a tutte le lavoratrici”.

“La maternità non deve essere un fattore discriminante”

Nel disegno di legge “Misure urgenti per la flessibilità e l’equità intergenerazionale del sistema
previdenziale. Delega al Governo per l’introduzione della pensione di garanzia”, con primo firmatario il senatore del Pd, Tommaso Nannicini, è previsto, tra gli altri interventi sulle pensioni,  l’ampliamento e la stabilizzazione della disciplina vigente dell’anticipo pensionistico, il cosiddetto APE sociale e la sua  estensione ai lavoratori autonomi artigiani e commercianti, oggi esclusi da tale strumento di flessibilità riservato agli addetti a lavori particolarmente gravosi.

L’accesso all’APE sociale sarebbe consentito “a tutti gli iscritti all’assicurazione generale obbligatoria, alle forme sostitutive ed esclusive della medesima e alla Gestione separata INPS, che abbiano almeno 63 anni di età e siano in possesso di un’anzianità contributiva di almeno trenta anni”. “Per le donne i requisiti anagrafici previsti per il riconoscimento dell’indennità sono ridotti di dodici mesi per ogni figlio, nel limite massimo di tre anni”.

Armiliato  ritiene che non sia “corretto considerare la maternità come un fattore discriminante”, in quanto “ci sono donne che pur non essendo madri hanno il diritto per “N” motivi di accedere anch’esse a qualche trattamento di miglior favore”. “Dimentichiamo che le donne dedicano alla cura della famiglia che è anche genitori anziani, suoceri, sorelle e fratelli con qualche disagio, mariti più di 5 ore di lavoro al giorno oltre al lavoro fuori casa?”, ha puntualizzato l’amministratrice del CODS.

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